MUSIPUL

Egoismo o buona azione?

E’ arrivato da noi tredici anni fa, cucciolino di due mesi.

 

Era da poco mancata la nostra Dea, la micia più bella ed intelligente che sia mai esistita in natura.
Io e mia moglie giravamo gattili e rifugi alla ricerca di quello che sarebbe diventato il nuovo membro della nostra famiglia, senza fortuna.
Fino a che, un bel giono, “E’ lui”, esclamammo all’unisono quando ce lo misero in braccio per la prima volta.
E, da allora, nessuno ci ha più separati.

 

Appena arrivato a casa ci accorgemmo che aveva le pulci.
Me ne occupai io: lui se ne stava calmo e buono, si faceva ispezionare e trastullare che sembrava quasi provasse un certo piacere.
Lo ripulii per bene, avevamo proprio fatto una bella cosa, pensai, a prenderlo in casa con noi, a toglierlo da quel fienile dove chissà cosa gli sarebbe potuto accadere.

 

Il primo giorno lo passò miagolando, aggirandosi -per quanto possa farlo un piccoletto di sessanta giorni appena- alla ricerca di dio solo sa chi o che cosa.
“Sentirà l’odore della Dea”, oppure “Starà cercando i suoi fratellini…”, queste erano le ipotesi che facevamo, mentre lo guardavamo, lui un po’ spaesato e noi in apprensione.

 

Si ambientò, ci volle poco.
Mi divertivo come un matto a farlo giocare.
“Preda e cacciatore” era il nostro passatempo preferito, una specie di corsa sfrenata, dove i ruoli si scambiavano senza soluzione di continuità, in un territorio che comprendeva ogni angolo della casa.
Il pavimento era il posto meno gettonato: quello che davvero ci esaltava, a me e al Musipul, erano i salti e le acrobazie fra il divano, il tavolo, le mensole, la scrivania, i letti…insomma, tutte quelle cosucce da gatto che farle insieme è un piacere.

 

Quando divenne adulto, cambiò tutto.
Non so nemmeno io come e quando successe di preciso.
Musipul smise di giocare, di saltare, non si lasciava più nemmeno sfiorare.

 

Chiamammo il veterinario, “Bisogna farlo sterilizzare”, sentenziò.
Accettammo quello che suonava più come un ordine che un consiglio.

 

Da allora è una specie di soprammobile vivente.
Non ha nessun interesse a niente.
Mangia, dorme, fa i suoi bisogni.
Niente coccole, niente carezze.
Viviamo una vita da separati in casa, se così si può dire.
Quando ha fame, e ha fame spesso, morde.
Morde ma proprio morde nel vero senso della parola.
A volte arriva a conficcarti i denti nei polpacci fino a farli sanguinare.

 

Abbiamo però un segreto, io e il Musipul: quando sono in bagno, immancabilmente, si presenta.
Apre la porta ed entra bel deciso, salta sulla mensola proprio di fronte a me e io lo inizio a spazzolare.
Se ne sta lì beato e tranquillo, fa le fusa proprio come quando era micino.
Se per caso appoggio la spazzola e lo provo ad accarezzare mi azzanna la mano e se ne va via stizzito.

 

Ecco.
Spesso mi chiedo -e me lo chiedo perchè gli voglio davvero tutto il bene del mondo- se non fosse stato meglio lasciarlo al suo fienile.
Meglio per lui, intendo, che per quel che mi riguarda i suoi morsi, dopo tanti anni, mi fanno quasi piacere.

 

A volte mi sento maledettamente in colpa.
Penso di averlo privato della sua libertà, di aver imprigionato quella che sarebbe stata la sua vera natura.

 

Musipul, gatto domestico per volere dell’uomo.
Scusa.