LA COLONIA FELINA; terza parte

La famiglia Rossi…di pelo, non di cognome

L’Assuntina era su tutte le furie.

 

“Lo sapevo, lo sapevo e lo sapevo!”, ripeteva pestando i piedi, girando su se stessa senza darsi pace, quasi l’avesse morsa una tarantola.

Rita, che di Rita Haywort aveva il rosso del pelo ed il nome, si era ripresentata dopo essere sparita che nessuno sapeva dov’era.

E non era sola.

Guidava con aria altera e fiera una bella cucciolata di micini nuovi nuovi che, per una colonia di randagi, sono sempre una disgrazia, ma lei, questo, mica lo sapeva.

 

“Che disgrazia, che disgrazia”, strillava infatti l’Assuntina contandoli, intervallando al numero la parola “disgrazia”, quasi fosse la filastrocca di una bambina pazza.

“Uno, che disgrazia!”, diceva proprio così, “due, che disgrazia!”, e poi “tre, che disgrazia”, “quattro, che disgrazia”…

Finì alla sesta disgrazia, che poi era anche l’ultimo cucciolino.

 

Nella colonia le femmine sono tutte sterilizzate, tutte tranne Rita, che non c’era stato il verso di catturare.

I gatti crescono in fretta, raggiungono la maturità sessuale che ti sembrano ancora piccolini piccoli, spariscono per un po’ e poi arrivano altre disgrazie.

Senza contare i frequentatori casuali, gatti e gatte arrivati chissà da dove, abbandonati da chissà chi, che poi in colonia trovano da magiare e allora può darsi decidano di rimanere.

E basta anche solo che una femmina entri in calore che la comunità cresce.

E l’Assuntina si dispera.

 

Di tutti i gattini che nascono, solo pochi hanno la fortuna di diventare grandi.

Per strada si muore.

Si muore di fame, di freddo, di stenti, di avvelenamento, di malattie, ferite, infezioni, si muore di cattiveria, maltrattamenti e botte.

Di quella cucciolata sopravvisse solo un maschietto, rosso come la mamma e forte, molto forte.

 

Diventarono la coppia “alfa”.

Inseparabili, facevano tutto insieme.

Se c’era uno, eri certo ci fosse anche l’altro.

 

I gatti, come tutti i felini ad eccezione dei leoni, sono animali solitari e schivi.

Mal sopportano la presenza di intrusi nel loro territorio, che difendono in quanto fonte di cibo fino alla morte.

Che poi proprio morte non è…

La natura li ha dotati di un istinto di sopravvivenza che spinge il più debole, lo sconfitto, ad andarsene evitando il peggio.

 

Quelli che stanno in colonia si tollerano appena appena, non si creda siano amici.

Le lotte, gli scontri, sono all’ordine del giorno.

Si studiano da lontano, si avvicinano piano piano.

Il pelo si solleva, le code si gonfiano, le orecchie si appiattiscono.

Sono sbuffi, sibili e fischi che da sommessi si fanno acuti, striduli, demoniaci.

La battaglia dura pochi secondi, i gatti sono una furia, tutto finisce in lampo.

Chi vince la partita se ne sta seduto tranquillo, si riassetta leccandosi.

L’altro rimane acquattato, immobile che non sai dire nemmeno se stia respirando.

Poi se ne vanno.

Difficile, quindi, vederne due andare d’accordo.

 

I Rossi -di pelo, non di cognome- rappresentavano un’eccezione.

Ti accorgevi che erano nei paraggi dal comportamento degli altri gatti.

Chi stava mangiando smetteva.

Chi stava dormendo si svegliava.

Tutta la colonia entrava in stato dall’erta.

Allora li vedevi comparire, i Rossi, sempre assieme.

 

La mamma per prima, davanti.

Camminavano adagio adagio, di una lentezza che avresti giurato fosse studiata.

Non dovevano dare l’idea di avere fretta al resto del gruppo.

Quello che volevano l’avrebbero ottenuto senza affannarsi, senza né correre né lottare.

Tutto, ma proprio tutto, spettava loro di diritto.

 

Quando compariva l’Assuntina nel suo giro quotidiano di riempimento ciotole, non importa dove fossero i Rossi, neppure quanto tempo ci avrebbero messo ad arrivare, di certo c’era che sarebbero stati loro i primi a mangiare.

Gli altri gatti se ne stavano tutti in disparte, i più orgogliosi esibendo addirittura disinteresse, come non avessero fame.

A nessuno sfiorava l’idea anche solo di potersi avvicinare.

 

Madre e figlio scacciavano chiunque dalla zona d’ombra rivestita di aghi di pino, la più ambita quando era estate, per andarsi a riposare.

Erano per loro le coperte d’inverno quando si rischiava di gelare.

 

Quando Rosso morì, aveva deciso di non arrendersi davanti ad un bastardo di cane, Rita fu sola.

 

La colonia le si rivoltò contro.

Persino gli ultimi nella scala gerarchica osavano attaccarla.

 

Lei provò per qualche giorno a tener testa a tutti.

Impossibile, era chiaro non ce l’avrebbe fatta.

La vita, per lei, si fece dura, anche se dura già lo era.

 

Sparì e nessuno la vide più.

L’Assuntina dice sia morta di dolore.