L’Australia pronta a sterminare i feral cats
Un ecosistema fragile, più di qualunque altro
Osservando il globo terrestre ci si rende immediatamente conto di quanto l’Oceania, il continente di cui fanno parte Australia, Nuova Zelanda, Melanesia, Polinesia e Micronesia, sia isolata rispetto al resto delle terre emerse.
La deriva dei continenti ha portato queste terre ai margini del mondo conosciuto, facendo sì che la flora e la fauna autoctone evolvessero in modo del tutto indipendente e, per il resto del pianeta, inusuale.
I marsupiali sono un chiaro esempio della strada intrapresa dall’evoluzione unicamente in questa area geografica.
La fragilità dell’equilibrio del suo ecosistema rispetto a qualsiasi forma di vita arrivi dall’esterno è dovuta proprio all’isolamento di cui l’intero continente ha goduto fino ad epoca recente.
La prima flotta e l’invasione delle specie colonizzatrici
Con la fine del 1800, lo sbarco della prima flotta dall’Inghilterra è del 1788, L’Australia ha subito un’invasione alla quale la fauna presente sul suo territorio non era preparata, avendo seguito un processo evolutivo che non ne prevedeva la presenza.
L’uomo, in assoluto, ha rappresentato il primo e maggiore pericolo in grado di mettere a dura prova -se non addirittura sovvertire completamente- l’ordine di ogni cosa così come era stata prevista dall’evoluzione in centinaia di migliaia di anni.
Si provi a chiedere ad un Aborigeno.
Con l’uomo sono sbarcati sul continente anche animali e piante.
Le pecore da lana, ad esempio.
I cani, trasformatisi in Dingo.
E i gatti.
Gatti che, una volta rinselvatichiti, sono stati battezzati Feral Cats.
Li si chiami come si vuole, sono e rimangono gatti, gatti domestici.
Lo sterminio, che bell’idea!
Dall’inizio del 2015 il governo Australiano ha dato il via ad un programma che prevede il vero e proprio sterminio sistematico dei gatti su tutto il territorio nazionale.
I nostri felini sono responsabili dell’estinzione di numerose specie autoctone e non si vuole che le rimanenti subiscano la stessa sorte.
Queste le motivazioni addotte dal Ministro per la fauna selvatica, annunciando la volontà di sterminare ben 2 milioni di gatti entro il 2020.
La caccia è aperta.
Trappole, fucili, archi e balestre, persino bocconi avvelenati lanciati con elicotteri, vale tutto.
E’ prevista persino una taglia.
Ogni gatto ucciso vale 10 dollari.
Oltre l’aspetto etico morale, funziona davvero?
I dubbi sollevati da varie associazioni animaliste, sia in patria che nel resto del mondo, sono tanti.
Il primo riguarda la reale efficacia del provvedimento.
Con una popolazione di gatti stimata fra i 2 e i 6 milioni di esemplari pare possa risultare impossibile una riduzione che sia veramente incisiva sul loro numero.
Le ragioni poi dell’estinzione di tante specie autoctone non possono essere riconducibili ad una sola causa.
Il maggior imputato risulta essere l’utilizzo del suolo in un modo diverso rispetto a quanto fatto nel passato.
Il bush Australiano è l’ecosistema più minacciato attualmente sul pianeta, più ancora della foresta pluviale Amazzonica.
Uccidere i gatti è un rimedio inefficace e insufficiente.
Pensare che questa sia l’unica via percorribile per la salvaguardia della fauna locale serve solo a mettersi in pace la coscienza.
Ci sono altri mezzi, già collaudati in porzioni di territorio usati come campione, che hanno dato prova di sicura efficacia.
Si tratta di rendere inaccessibile l’area individuata, con mezzi meccanici come reti metalliche e barriere dissuasive, a qualsiasi potenziale intruso.
Soluzione costosa ed impegnativa, comunque obbligatoriamente percorribile se davvero si vuole salvaguardare quel meraviglioso ecosistema in pericolo.
Altro che gatti!
L’alternativa creativa.
Oppure, forse, chi intende sterminare le specie arrivate sul continente minacciando la sua integrità ha ragione.
Armiamo gli Aborigeni.
Si apra la caccia all’uomo bianco.